Ezio Ferro, 31 anni di qualificazione e Grandi Eventi

Ezio Ferro, finirà con l’imminente assemblea elettiva il suo viaggio nella Federazione Italiana Pallavolo. Cosa si prova a vedere il traguardo di un’avventura iniziata nel 1989 come Presidente del Comitato Provinciale di Torino e proseguita come Presidente regionale?
«Un viaggio che non avrei mai pensato arrivasse così lontano, è andato persino troppo oltre le mie aspettative. Il vantaggio è che ho scelto: finire con una sconfitta è diverso dall’avere la possibilità di salutare. Il dispiacere è enorme, interrompe dei rapporti personali e professionali ottimi: ma è una scelta professionale che andava fatta, è giusto che anche altri si mettano alla prova, non sono ruoli eterni. Smetto una settimana dopo che è nato il mio nipotino Federico: è sempre così, finisce una cosa e ne nasce un’altra».

Che movimento ha trovato quando ha iniziato la sua carriera?
«Era una pallavolo torinese e regionale spaccata in due: da una parte le poche società blasonate, dall’altra una pletora di realtà piccole e medio-piccole. Nei primi due anni siamo partiti dalla necessità di far rispettare le regole minime e fare formazione per i dirigenti:  il rispetto delle date di iscrizione ai campionati, la compilazione della modulistica per ridurre i tempi di lavorazione».

Che movimento lascia?
«Abbiamo cercato di far crescere la pallavolo parallelamente alla nostra crescita. Siamo passati attraverso quattro traslochi, con l’obiettivo di far diventare la sede non un mini-alloggio dove ci si trovava in quattro o cinque agli inizi dei campionati, ma un centro nevralgico frequentato da presidenti, allenatori, dirigenti, da tutti quelli che volevano una casa in cui sentirsi parte di una grande organizzazione. Scelte che hanno fatto crescere tutto e tutti: il senso di appartenenza, dell’organizzazione, l’estetica dell’organizzazione».

In cosa emerge questo cambiamento?
«Sono felice quando vado a vedere un torneo e vedo le premiazioni eseguite con cura, come è stato fatto per i campionati regionali: è stata data un’impronta organizzativa a tutto il movimento e questo è dato dal fatto di avere avuto persone al mio fianco che ci hanno creduto. Inoltre abbiamo fatto Corsi per addetti stampa perché prima non c’erano: oggi ci sono dirette streaming e questo è passato dal lavoro, spendendo risorse, organizzando un ufficio stampa e iniziative che insegnavano a comunicare».

Lascia quindi una pallavolo in ottima forma. C’è qualcosa però che la preoccupa?
«Forse la cosa spiacevole degli ultimi tempi è vedere che questo modo di fare comunicazione ha ovviamente portato chi è abituato a nascondersi dietro a un dito, a utilizzare i social, piattaforme che io non ho mai utilizzato per scelta, per criticare. Scrivere dietro pseudonimi non è carino: mi preoccupa il fatto che sia diventato in tutto e per tutto un metodo di comunicazione».

C’è un aspetto di cui è particolarmente orgoglioso?
«Mi ha inorgoglito e riempito di soddisfazioni la crescita del Centro di Qualificazione Regionale che coinvolge atleti e allenatori. Abbiamo cominciato anni fa con un test agli allenatori sulle regole di gioco, con risultati vicini al 3%. Adesso abbiamo un settore tecnico di qualità e gli allenatori sono cresciuti tantissimo, tanto da aver portato società e atleti piemontesi ad avere grandi successi e, alcuni, a giocare in Serie A».

Un ruolo chiave l’ha ricoperto il Club Piemonte?
«Sì, c’è stato un enorme miglioramento. Siamo orgogliosi di aver partecipato in questi 24 anni a tutte le edizioni del Trofeo delle Regioni portando a casa tante medaglie d’oro, argento e bronzo. Che hanno fatto crescere i ragazzi, arrivando al culmine qualche anno fa quando abbiamo portato cinque ragazze in Nazionale Under 18 vincendo Mondiali ed Europei. Lascio il Piemonte al 2° posto in Italia per Trofei delle Regioni vinti solo dietro alla Lombardia.».

Ha parlato di crescita del movimento. Che ruolo hanno avuto i grandi eventi internazionali?
«Abbiamo iniziato a organizzare grandi eventi internazionali pagando per poterlo fare. Il primo in ordine cronologico è stato la Top Teams Cup nel 2005, costata alcune decine di migliaia di euro. Sforzo che ha fatto vivere a tutto il Piemonte eventi internazionali a cui non erano abituati i dirigenti, gli atleti, i tecnici e gli appassionati di pallavolo in genere».

Evento che è stato un trampolino di lancio…
«Negli ultimi 17 anni abbiamo organizzato una Final Six Mondiale, un girone dei quarti di finale dell’Europeo, un girone eliminatorio dei Mondiali, più finali di Coppe Europee, il Trofeo delle Regioni in occasione del 150simo anniversario dell’Unità d’Italia: 21 grandi eventi nazionali e internazionali. Significa che di lavoro ne è stato fatto tanto, sono state formate tante persone, ragazzi e ragazze, che hanno trovato lavoro nello stesso settore. Abbiamo dato la possibilità a tanti di continuare nell’ambito in cui volevano operare. Lavorando in organizzazioni di questo tipo, necessariamente dinamiche e precise per tenere alti gli standard, è chiaro che poi migliora tutto il mondo intorno. Perché si torna nelle proprie società condividendo con loro l’esperienza. Non escludo da questo discorso il settore arbitri: abbiamo attinto parecchio ai nostri migliori collaboratori per entrare in queste organizzazioni e non ci hanno mai deluso, sotto ogni punto di vista».

Il momento più bello di questi 31 anni?
“Cito quelli che metterei sullo stesso piano, come successi personali e di tutti i miei collaboratori. La prima elezione, senza dubbio, non avrei mai creduto che un umile allenatore di provincia potesse diventare Presidente Provinciale a Torino. Mi dicevano che bisognava far parte di un certo giro per entrarci. Poi sicuramente l’elezione a Presidente Regionale, la prima vittoria al Trofeo delle Regioni femminile ad opera di Massimo Moglio, la prima vittoria in quello maschile con Monica Cresta, il primo grande evento internazionale. Ma anche la prima volta che ci hanno assegnato i Mondiali nel 2010, la gioia per l’assegnazione della Final Six del Mondiale, la vittoria alla precedente assemblea elettorale dove ci siamo permessi di battere degli avversari che avevano vestito l’azzurro alle Olimpiadi. Non avevo mai battuto la Nazionale (sorride, ndR). Essere stati premiati in Giappone a Tokio come miglior organizzazione a livello mondiale pochi mesi dopo le Finali del 2018 e, infine, il vedermi assegnato il Premio USSI Dirigente dell’anno 2018 intitolato all’amico Marco Ansaldo, mancato anni fa».

Ci saranno stati anche momenti brutti. Quali?
«Quando non sono potuto andare al Trofeo delle Regioni del 2001 perché era mancato mio padre. Momenti tristi come la morte di Fratel Giovanni Dellarole, a cui è ancora intitolata la Coppa Piemonte e che fu il più grande sostenitore dell’iniziativa Art&Sport (premiare gli atleti con stampe realizzate dal Maestro Ugo Nespolo, ndR). É stato un maestro di vita per me. La scomparsa di Paolo Pastore, la nostra guida alle selezioni giovanili, la morte improvvisa e prematura di Emanuela Campoli, ex presidentessa del CP Vercelli, che ha sempre aiutato così tanto in ogni nostra iniziativa. In ultimo, quella di Guglielmo Callegaris, mio ex vice-presidente dalla prima avventura fino a otto anni fa, quando ha deciso di ritirarsi».

A chi va il ringraziamento più grande?
«Va a mia moglie Elisabetta e alla mia famiglia, con mio figlio Alessandro che mi ha dato l’ennesima gioia facendomi diventare nonno. Elisabetta mi ha sopportato oltre ogni limite credendoci sempre e dandomi una mano anche se lei faceva parte del Comitato di Torino: ma ha sempre voluto esserci. Inoltre ringrazio tutte quelle persone che ho citato prima e che non ci sono più, sono stati fondamentali nella mia crescita. Non sarei quello che sono oggi senza di loro: mi hanno aiutato a modellare il carattere. Tutte le persone che ho chiamato a collaborare: non le cito perché sicuramente dimenticherei qualcuno, ma tutti coloro che hanno collaborato devono sentirsi coinvolti in questo ringraziamento. In ultima analisi tutti i dirigenti e le società, allenatori e atleti, che in questi 31 anni, nei loro rispettivi settori, hanno creduto in noi, nei nostri progetti, e anche a tutti coloro che li hanno ostacolati».

In che senso?
«Perché anche la critica sincera e costruttiva fa parte della crescita dirigenziale. Infine un ringraziamento particolare a tutti coloro che sono stati vicini a mia moglie Elisabetta e alla mia famiglia nel momento in cui ho rischiato la vita per il Covid quattro mesi fa».

E adesso cosa farà?
«Mi mancano ancora due anni alla pensione, continuerò nella mia professione anche se con delle modifiche causate da questo bruttissimo anno di pandemia che non ha risparmiato nemmeno me, anche professionalmente parlando».

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